Pillole di cultura Sociale n. 2

ANCHE SE NON TROVO LE PAROLE: L’ASCOLTO NELLA RELAZIONE COL MALATO ONCOLOGICO

 

Quando il cancro arriva come una mazzata nella tranquilla routine familiare, gli equilibri sembrano spezzarsi e nuovi bisogni di carattere medico e psicologico nascono per l’assistito e la famiglia.

La diagnosi ci raggela come una doccia fredda che ci lascia scioccati e confusi, spaventati, impotenti e spesso arrabbiati di fronte all’accettazione di non poter più fare affidamento sulle nostre forze, ma di dipendere totalmente o parzialmente da altri.

Il tempo, che spesso è poco per concedere all’utente l’attenzione che meriterebbe, è calcolato al minuto, una corsa contro il tempo che annulla ciò che è veramente importante… una carezza, un sorriso, una frase autentica che gli renda evidente che abbiamo davvero capito la sua situazione e i suoi sentimenti.

E spesso mancano le parole… per tutti e in special modo per gli operatori che lavorano nelle relazioni di aiuto per i quali diventa davvero difficile trovare le parole giuste da dire quando non si sa cosa dire a chi sta male, accusa nausee, debolezza, difficoltà ad andare in bagno, mangiare.

E come se ci sentissimo autorizzati dalla temibile parola “cancro”, pronunciamo frasi scontate con il risultato di creare un senso di inadeguatezza e di imbarazzo in chi vorrebbe trovare la frase giusta da dire e sensazioni di tristezza, rabbia, delusione in chi desidera semplicemente un supporto morale “Ma come ti trovo bene!” “Sai… dovresti andare da quel dottore” “Soffro per te” “Vedrai che andrà tutto per il meglio…” “Se fossi in te, io farei … “C’è sempre un motivo per ogni cosa” “Se c’è una persona abbastanza forte per affrontare tutto questo, questa sei tu!” “Coraggio, sii positivo!”.

Ma, all’assistito, serve davvero tutto ciò? Gli giova autenticamente?

Ascolta ciò che lui ti sta comunicando anziché pensare a quello che dovresti dire tu, a come ti risponde quando gli chiedi “come stai” perché il piacere del tuo interessamento è un invito per te a continuare a dialogare, a ridurre le distanze “Mi è difficile… Non sono molto bravo a parlare di …” “Non so cosa dire” “Ti va di parlare un po’…?” “Parlami solo se te la senti”. Non temiamo di manifestare il nostro disagio e comunichiamoglielo con chiarezza, proponendo di rimandare l’incontro ad un’altra volta “Ciò mi mette molto a disagio in questo momento: possiamo riprendere a parlare più tardi?”.

E, soprattutto, facciamo capire che lo stiamo ascoltando “Sì” “Capisco” “Vai avanti”. “Allora intendi dire che …” “Se ho ben capito senti che …” “Fammi capire meglio che cosa vuoi dire” “Mi sembri molto abbattuto” “Immagino che ciò ti abbia fatto infuriare” “Che ne pensi?” “Come ti senti adesso?”, evitando di interromperlo o anticipando le sue parole o interpretando il suo pensiero, perché così facendo rischiamo di perdere di vista ciò che, invece, egli sta effettivamente esprimendo.

Non mettiamogli fretta anche se ci sembra che il silenzio duri secoli “Oddio, adesso non so cosa dire!” perché il silenzio può indicare che effettivamente non c’è bisogno di parlare: toccare delicatamente il suo volto o mettergli un braccio intorno alla spalla può valere più di tante parole.

E se è lui che smette di parlare, è probabile che stia pensando a qualcosa di doloroso o delicato che richiede quel rispetto che ci consentirà, poco dopo, di entrare con dolcezza nel suo vissuto chiedendogli a cosa stia pensando.

E se l’utente è disposto a vedere l’aspetto umoristico della propria malattia, anche se ciò può sembrare macabro ad un estraneo, è bene rispondere in maniera intelligente al suo umorismo anziché creare noi delle situazioni umoristiche. Questo può essergli di aiuto nell’esorcizzare grandi minacce e paure, dandogli la possibilità di sfogare anche i sentimenti forti e negativi.

La malattia fa paura a chiunque e anche se non potremo mai raggiungere una comprensione totale, quanto più ci avvicineremo all’Altro nella sua complessità, tanto migliore sarà la nostra comunicazione.

 

“Ogni tua parola caduta esattamente dove era attesa da anni”

David Grossman

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